Sembra oggi lontanissima quella notte del cambio di secolo quando si temeva che il Millenium Bug avrebbe paralizzato il mondo. Il fatto che poi questo rischio di mancato controllo tecnologico si sia rivelato esagerato e che anche le crisi energetiche degli anni 70′ siano poi apparentemente state superate, più la speranza (che presto divenne una apparente certezza) di poter vivere senza guerre, avevano creato una sorta di scudo mentale: il timore che potesse accadere nel mondo qualcosa di realmente grave si era talmente attenuato che tutti ci siamo sentiti più sicuri di quanto avremmo dovuto.
La globalizzazione ha spinto il mondo a delocalizzare le sedi senza pensare ad altro che ai profitti economici immediati che ne derivavano; per troppi anni si è solo tanto parlato di rispettare lo sviluppo eco-sostenibile ma ben pochi lo hanno fatto davvero ed ora, con una pandemia e una inattesa guerra piombateci addosso tra capo e collo, si sta comprendendo quanto certi comportamenti fossero basaci su strategie che sembravano eterne senza esserlo.
Rapidamente si riavvolge il nastro: il reshoring, il fenomeno economico che consiste nel rientro a casa delle aziende che in precedenza avevano delocalizzato, sta galoppando. Tutti quanti hanno solo osannato il cambiamento, nell’ottica gattopardiana del cambiare tutto quanto perché nulla cambiasse, stanno ora comprendendo che la necessità di un reale cambiamento è drammaticamente immediata.
L’effetto farfalla della velocità di implementazione delle innovazioni tecnologiche, la crescente urgenza causata dagli scenari climatici, i mutamenti di comportamento degli attori socio-politici ed economici, stanno rovesciando le certezze che la mondializzazione sembrava aver apportato: il rincaro dissennato delle fonti energetiche incide sulla manifattura dei prodotti e sui costi di trasporto, la catena dei fornitori è sconvolta poiché ognuno dipende da altri per il completamente del suo ciclo produttivo, ecc.